Parlando di “simboli”, si desidera mettere in evidenza quegli elementi che più di altri distinguono l’azione culturale dell’Accademia Etrusca e ne sottolineano la peculiarità: sono essi oggetti, situazioni, luoghi grazie ai quali è possibile riconoscere immediatamente la natura e lo scopo di una istituzione culturale ormai quasi tricentenaria, ma ancora protagonista nella città di Cortona.
La Biblioteca “Alta”
Assieme al Museo, la Biblioteca ha costituito fino dal 1727 lo strumento di cui l’Accademia si è servita per diffondere al pubblico una cultura non solo umanistica, ma anche scientifica, religiosa, tecnica, e per permettere l’elevazione sociale della popolazione a cui era destinata. Prevalgono i testi filosofici, la patristica, la storia; ma non mancano le risorse dei nuovi indirizzi culturali del Settecento europeo: ne è simbolo efficace l’Encyclopédie, che nella sua versione livornese fu promossa proprio a Cortona da Filippo Venuti, che dell’Accademia fu uno dei fondatori e Lucumone nel 1753; e non mancano le testimonianze di relazioni culturali di rilievo, anche da parte di istituzioni prestigiose come gli Atenei tedeschi: è in Biblioteca una raccolta di oltre settemila tesi di Università della Germania settecentesca (le note “tesi di Lipsia”). La Biblioteca settecentesca, ancora disposta nelle originarie scaffalature ed inserita nel percorso di visita del Museo, è però uno strumento anche per la cultura contemporanea: i testi sono tutti indicizzati ed elencati su supporto informatico, per una agevole consultazione e studio, e fanno parte – pur nella distinzione di collezioni e generi – del patrimonio bibliografico della attuale Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca.
Il “tempietto” Ginori
La grande macchina in porcellana, realizzata nel 1756, trasferita a Cortona l’anno successivo come dono all’Accademia di Carlo Ginori – Lucumone nel 1750 e 1751 e fondatore della manifattura di Doccia – oltre ad essere un capolavoro dell’artigianato artistico italiano, è un chiaro messaggio programmatico sia per l’Accademia Etrusca che ne è stata la destinataria, sia per l’intero Granducato di Toscana. La struttura è infatti concepita come una sorta di tempio trionfale in cui sono le effigi di tutti i Granduchi di casa Medici, fino all’ultimo – Gian Gastone – con il quale si estinse la casata dando luogo al passaggio del potere ad una dinastia straniera, come i Lorena; l’allegoria centrale della Bellezza rapita dal Tempo da un originale di Giambologna è in tal senso evocativa. La ragion di stato tuttavia prevalse, e al culmine della struttura si eleva il Mercurio, messaggero degli dei, che reca il medaglione con l’effigie di Francesco di Lorena, il nuovo Granduca. È pertanto un’opera complessa e articolata che ben simboleggia la funzione politico-culturale che fino dall’inizio l’Accademia Etrusca aveva rivestito in ambiente toscano, nella volontà di ricercare una motivazione storica che giustificasse l’opposizione alla successione medicea stabilita dalle potenze europee alla ricerca di sempre nuovi equilibri dinastici.
La Musa Polimnia
È un oggetto singolare e unico – una pittura ad olio su ardesia – la cui vicenda antiquaria costituisce una sintesi delle istanze culturali che nel Settecento si perseguivano in Accademia. Menzionata per la prima volta nel 1744 come frutto di un ritrovamento casuale ad opera di un contadino nelle campagne cortonesi, fu oggetto di una lunga diatriba giudiziaria fra l’Accademia e i Tommasi che ne rivendicavano il possesso; fu anche oggetto di discussioni scientifiche fra i sostenitori dell’antichità dell’oggetto e coloro che erano convinti della sua falsità. In tutto ciò rientra con ogni probabilità anche la posizione di Marcello Venuti – uno dei fondatori dell’Accademia – che fu dapprima responsabile degli scavi di Ercolano per conto del Re di Napoli, ma che poi fu escluso da tale prestigioso incarico per una serie di intrighi e di gelosie; la vicinanza di Venuti con alcuni pittori e copisti napoletani rende verosimile una realizzazione “contemporanea” del dipinto, al quale però si intendeva dare una patina di antichità, suscitando l’ipotesi del casuale recupero. A prescindere comunque da tutto ciò, resta il fatto che la Musa è simbolo efficace della cultura che nella prima metà del Settecento si tentava di suscitare a Cortona e del desiderio di mettere ogni forma di tale cultura a disposizione della popolazione: ciò spiega l’enorme impegno economico cui si sottoposero gli accademici pur di assicurarsi l’opera che ancora oggi è centrale nella comprensione del messaggio proposto alla società.
Il Lampadario Etrusco
È uno dei reperti archeologici più noti della collezione accademica; fu scoperto casualmente nei dintorni di Cortona nel 1840 ed entrò subito nel Museo come deposito da parte della proprietaria contessa Luisa Bartolozzi Tommasi; nel 1846 essa rivendicò il possesso del lampadario, intendendo porlo in vendita. L’Accademia non volle privarsene e privare Cortona dello straordinario oggetto, e si sobbarcò l’impegnativo onere di milleseicento scudi fiorentini, attraverso una sottoscrizione fra soci e cittadini, la destinazione all’acquisto dell’intero patrimonio accademico, ed un mutuo contratto con un istituto di credito con la garanzia del Comune che assunse l’onere degli interessi. Fu così che Cortona potè continuare ad esporre l’opera senza timore di una dispersione allora assai frequente nei vari centri in cui avvenivano scoperte di antichità etrusche. Il lampadario è un prodotto eccezionale di un’officina forse volsiniese specializzata nella realizzazione di grandi bronzi; certamente fu dedicato da qualche cittadino influente della Cortona del IV sec.a.C. ad un santuario della zona, e fu di nuovo offerto forse alla stessa divinità da un esponente di una gens importante del II sec.a.C.